Di Marco Capellini. In un mondo che si muove sempre più velocemente verso l’economia circolare, il Digital Product Passport (DPP) emerge come uno strumento essenziale per garantire trasparenza e tracciabilità. Tuttavia, l’implementazione del DPP non è un semplice adempimento normativo, ma una sfida complessa che richiede pianificazione e organizzazione. Basandoci sull’esperienza diretta maturata in progetti con aziende di vari settori, abbiamo identificato le principali difficoltà che le imprese stanno affrontando in questa transizione. Le considerazioni che seguono non sono teorie, ma lezioni concrete apprese sul campo.
Il Digital Product Passport, un pilastro del Green Deal europeo, si propone di rivoluzionare la trasparenza e la sostenibilità lungo l’intero ciclo di vita dei prodotti. Sebbene il suo obiettivo sia nobile, la transizione verso questo nuovo sistema non è priva di insidie e presenta diverse sfide che richiedono un’attenta pianificazione.
La sfida più grande è la gestione dei dati. Per creare un DPP completo, le aziende devono raccogliere informazioni dettagliate lungo tutta la catena di approvvigionamento, dai fornitori di materie prime ai distributori. Questo significa affrontare:
- Disomogeneità dei dati: I fornitori, soprattutto quelli di piccole dimensioni, potrebbero non avere i sistemi o gli standard necessari per raccogliere i dati richiesti. Le aziende devono quindi trovare il modo di unificare informazioni provenienti da fonti disparate, che siano prodotte in modi diversi e con differenti livelli di granularità.
- Affidabilità e verifica: È fondamentale garantire che i dati siano accurati e veritieri. Le aziende devono stabilire modalità per verificare le informazioni ricevute, al fine di evitare errori ma soprattutto possibili sanzioni. Questo processo richiede strumenti di tracciabilità e, in diversi casi, audit esterni.
La Commissione Europea sta lavorando agli atti delegati del Regolamento Ecodesign (ESPR), ma le specifiche per ogni settore (fashion, arredamento elettronica, edilizia, ecc.) saranno differenti e in continua evoluzione. Questo crea incertezza per le aziende che si trovano a dover investire in tecnologie che potrebbero diventare obsolete. Le questioni principali sono:
- Mancanza di chiarezza normativa: Le aziende chiedono linee guida chiare e standard definitivi per sapere esattamente quali informazioni inserire e come strutturarle, soprattutto per le scadenze che si avvicinano. Queste dovrebbero essere chiarite con i singoli atti delegati.
- Interoperabilità dei sistemi: Le piattaforme IT e i database aziendali devono essere in grado di “parlare” tra loro per scambiare informazioni in modo efficiente. Senza standard di interoperabilità, la condivisione dei dati tra le varie fasi della catena di approvvigionamento rischia di diventare un processo manuale e inefficiente.
L’implementazione del DPP non è un semplice aggiornamento software, ma una trasformazione di alcuni processi aziendali. Questo comporta:
- Investimenti tecnologici: Le aziende si devono attrezzare con specifici strumenti per la gestione dei dati, la creazione dei passaporti e l’integrazione con i sistemi esistenti. Possono essere necessarie tecnologie come blockchain, RFID o codici QR avanzati.
- Formazione del personale: Sarà indispensabile formare il personale non solo su come utilizzare i nuovi strumenti, ma anche sull’importanza e sulla corretta gestione dei dati relativi alla sostenibilità (basta pensare a cosa comporta la sola verifica delle certificazioni sulle proprietà dei materiali).
- Costi di conformità: Le aziende, in particolare le PMI, dovranno sostenere costi per garantire la conformità normativa, che include audit, consulenze e potenziali sanzioni in caso di non adempimento.
Nonostante la sfida ambiziosa, quello che stiamo vedendo nei progetti che abbiamo in corso sul DPP, è che l’approccio graduale e partecipe da parte delle aziende porta a risultati. Le aziende che si attivano da subito, anche con piccoli passi, sono quelle che hanno la possibilità di trasformare questo adempimento normativo in un vantaggio competitivo, soprattutto per le “nuove informazioni” di cui possono disporre.
Le prime fasi del progetto sono fondamentali per testare e affinare la raccolta dati, magari partendo da una singola linea di prodotto o da un fornitore chiave. Questo approccio permette di comprendere a fondo le complessità senza sovraccaricare le risorse.
Iniziare un dialogo proattivo con fornitori è fondamentale. Condividere la visione e formare gli attori della filiera aiuta a costruire un ecosistema collaborativo, rendendo la raccolta dati più fluida ed efficiente.
Le informazioni raccolte per il DPP non servono solo alla conformità. Spesso diventano un prezioso strumento di marketing, per raccontare la storia di sostenibilità del prodotto al consumatore finale, migliorando la reputazione del brand e la fiducia dei clienti.